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Psichiatria e medicina di precisione
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Psichiatria e medicina di precisione
Personalizzare le cure per trattamenti efficaci ed evitare effetti collaterali
Specialisti a confronto alla Casa di Cura Villa Santa Chiara sulle nuove frontiere della farmacogenetica
Tra le patologie psichiatriche, la depressione è la più diffusa e interessa oltre 38.000 assistiti nella Regione del Veneto nel 2023, 4.754 nella provincia di Verona
Secondo l’OMS si prevede che entro il 2030 diventerà la malattia mentale più diffusa.
Dare ai pazienti il trattamento giusto al momento giusto con la massima efficacia e la minima possibilità di effetti collaterali. Anche in psichiatria si parla di medicina di precisione o personalizzata: un nuovo paradigma che mira a migliorare la diagnosi e il trattamento di disturbi psichiatrici, considerando le specificità individuali di ciascun paziente. Questo include le analisi di fattori genetici, ambientali e del comportamento che possono consentire di personalizzare la cura.
È questa, in sintesi, il tema al centro del seminario dal titolo “Medicina di precisione in psichiatria”, organizzato oggi dalla Casa di Cura Villa Santa Chiara di Quinto di Valpantena (Vr), dedicato a medici chirurghi specializzati in farmacologia e tossicologia clinica, neurologia, neuropsichiatria infantile, psichiatria e psicoterapia, biologi e psicologi.
«Di medicina di precisione si parla da tempo, specie in oncologia, per l’efficacia dei farmaci e la riduzione di effetti collaterali. Ma anche in psichiatria è molto importante personalizzare la cura poiché gli effetti collaterali dei farmaci possono compromettere la cura. L’obiettivo di questo seminario, grazie alla presenza di specialista del settore, è far luce sulle nuove frontiere della psichiatria e approfondire le attuali conoscenze sulla farmacogenetica e sui nuovi strumenti disponibili per ottimizzare le terapie e ridurre gli effetti collaterali», spiega il dott. Marco Bortolomasi, responsabile del Raggruppamento, Casa di Cura Villa Santa Chiara,
In psichiatria, il farmaco è fondamentale per determinate cure ma, essendo formato da molecole, è metabolizzato dai pazienti in maniera differente. Capire questo principio è la chiave per avere efficacia e per ridurre gli effetti collaterali come effetti metabolici (aumento di peso corporeo) o di natura sessuale. «I farmaci che danno questi effetti collaterali – conclude Bortolomasi – riguardano quasi tutti gli antidepressivi e gli psicofarmaci che servono per curare depressioni e disturbi bipolari». Il rischio è che il paziente, per evitare gli effetti indesiderati del farmaco, interrompa la cura.
Fra le patologie psichiatriche, la depressione è senz’altro la più diffusa e interessa oltre 38.000 assistiti nella Regione del Veneto nel 2023. Ne soffrono il 66% delle donne e 8 pazienti su dieci hanno meno di 74 anni. Nella provincia di Verona sono stati assistiti 4.754 pazienti. Gli assistiti con disturbo bipolare sono stati a livello regionale 13.895, di cui il 58% è formato da donne. 2464 sono i pazienti nella provincia scaligera. Numeri che evidenziano un problema diffuso le cui cure richiedono un approccio mirato e personalizzato.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha lanciato un allarme globale, definendo la depressione come la principale causa di disabilità nel mondo e si prevede che, entro il 2030, diventerà la malattia mentale più diffusa.
Il Prof. Massimo Gennarelli, Direttore del Dipartimento di Medicina Molecolare e Traslazionale, Università di Brescia – Laboratorio di Genetica, IRCCS Fatebenefratelli di Brescia nella sua relazione ha evidenziato: «Un elemento chiave – ha spiegato – è la farmacogenetica, che studiando le varianti genetiche, identificate tra quelle che influenzano la farmacocinetica e la farmacodinamica dei farmaci psicotropi, ha portato allo sviluppo di test genetici specifici. Questi test aiutano lo psichiatra nella prescrizione di terapie farmacologiche più efficaci con un minor rischio di effetti collaterali, migliorando, anche, l’aderenza al trattamento. Oltre alla farmacogenetica, le scienze omiche (genomica, trascrittomica, proteomica e metabolomica) offrono una visione più completa dei meccanismi biologici alla base dei disturbi psichiatrici. In particolare, lo studio dell’espressione genica permette di individuare biomarcatori che potrebbero facilitare diagnosi più accurate e interventi precoci». «Un’altra innovazione cruciale – ha aggiunto il Prof. Gennarelli – è l’applicazione dell’intelligenza artificiale, che grazie al “machine learning” può analizzare enormi quantità di dati clinici, genetici e ambientali per identificare pattern predittivi della risposta ai trattamenti. Algoritmi avanzati possono aiutare nella diagnosi, nella scelta terapeutica e nella previsione della progressione della malattia, rendendo l’approccio terapeutico sempre più personalizzato, sicuro e efficace».
Essenziale è che test genetici e terapie devo essere sempre valutati da specialisti, evitando approcci autodidattici e personalizzando il trattamento in base alle reali necessità del paziente. L’obiettivo finale è una medicina di precisione sempre più ritagliata su misura, in grado di garantire il miglior equilibrio tra benefici e rischi per ogni individuo.
Alessandra Minelli, Professoressa associata, Dipartimento di Medicina Molecolare e Traslazionale, Università di Brescia – Laboratorio di Genetica, IRCCS Fatebenefratelli di Brescia si è focalizzata sul tema «Luci e ombre dell’utilizzo dei test farmacogenetici per la terapia antidepressiva: nuovi dati della sperimentazione clinica italiana». Negli ultimi anni, i test genetici sono diventati sempre più accessibili, con la possibilità di acquistarli anche online a costi variabili. Tuttavia, la Prof.ssa Minelli mette in guardia da un aspetto fondamentale: «questi esami forniscono informazioni complesse che devono essere interpretate da specialisti. Sempre più persone si sottopongono a test di farmacogenetica, ovvero analisi che dovrebbero indicare quali farmaci sono più adatti in base al profilo genetico. Il problema è che molti pazienti, dopo aver ricevuto i risultati, si convincono di non poter assumere determinati farmaci senza una reale valutazione medica. Capita spesso che si presentino dal proprio medico con un referto in mano, affermando con certezza di non poter assumere un determinato principio attivo perché “lo dice il test”. Ma la realtà è ben diversa: questi esami, se non interpretati correttamente, possono portare a conclusioni errate». «Ricevere a casa un risultato senza un’adeguata spiegazione da parte di un professionista può essere fuorviante e indurre a decisioni rischiose per la salute. La genetica è una materia complessa e in continua evoluzione, e solo gli specialisti possono valutarne le implicazioni in modo corretto», conclude Minelli.
Del «Monitoraggio terapeutico dei nuovi psicofarmaci: utilità e limiti» ha trattato il
Prof. Edoardo Spina, Ordinario di Farmacologia presso l’Università di Messina e Responsabile dell’Unità di Farmacologia Clinica, AOU “G. Martino” di Messina. «La medicina di precisione in psichiatria – ha spiegato – si può avvalere di metodiche di laboratorio quali il monitoraggio terapeutico dei farmaci e test farmacogenetici. Nella nostra unità effettuiamo la misurazione delle concentrazioni ematiche di alcuni psicofarmaci, in particolare antidepressivi ed antipsicotici, come guida per l’individualizzazione della terapia farmacologica. Si tratta di una procedura che non viene effettuata su base routinaria, ma che può rivelarsi utile per eventuali aggiustamenti posologici in alcune situazioni cliniche, ad esempio nel sospetto che un paziente non assuma il farmaco (non aderenza al trattamento) oppure in pazienti che non rispondono al trattamento o che presentano severi effetti indesiderati alla dose comunemente utilizzata o in popolazioni a rischio come gli anziani».
Sono intervenuti anche il dott. Alessio Squassina Professore associato, Scienze Biomediche, Sezione di Neuroscienze e Farmacologia Clinica, Università di Cagliari che ha parlato di «Le basi molecolari della risposta agli stabilizzatori dell’umore». «La ricerca in questo settore – ha spiegato – sta facendo passi importanti, soprattutto nell’ultimo decennioperché abbiamo scoperto molte tecnologie che ci permettono di poter studiare anche marcatori di malattie, come quelle che riguardano il sistema nervoso centrale, utilizzando anche materiale biologico periferico, per esempio campioni di sangue in cui trovare marcatori che ci possano aiutare a comprendere perché un paziente risponda a una terapia farmacologica mentre un altro non risponde o perché un paziente manifesta un evento avverso e un altro no. Inoltre, queste ricerche ci permettono di capire meglio come funzionano i farmaci che già usiamo per migliorarne l’uso. Io mi occupo in particolare del disturbo bipolare, dei farmaci stabilizzatori dell’umore. Sul litio in particolare si fa tanta ricerca che sta aiutando a capire meglio come funziona questo farmaco. Inoltre, ci sono anche molti studi in corso che stanno testando sui pazienti farmaci nuovi che utilizzano le stesse vie molecolari ma che sembrano essere più sicuri».
Un’altra tematica affrontata nel seminario riguarda i farmaci per la gestione del diabete e dell’obesità. Questi farmaci, nati per pazienti con determinate forme diabetiche che non riuscivano a essere gestite, oggi sono assunti anche da persone che vogliono semplicemente dimagrire senza sapere che hanno effetti collaterali e che creano dipendenza». Nella relazione «Understanding adverse reactions in psychiatry: various aspects of pharmacovigilance» (Comprendere le reazioni avverse in psichiatria: vari aspetti della farmacovigilanza) il dott. Georgios Schoretsanitis del Dipartimento di Psichiatria, Psicoterapia e Psicosomatica, Università di Zurigo – Svizzera ha presentato uno studio sulle reazioni avverse ai farmaci in psichiatria. Il lavoro si è focalizzato su segnalazioni di sospette reazioni avverse al farmaco (ADR – Adverse Drug Reaction) con pensieri suicidi e autolesionismo associate a semaglutide e liraglutide raccolte tra novembre 2000 e agosto 2023. «Abbiamo analizzato – ha spiegato il dott. Schoretsanitis – i dati di 107 casi legati a semaglutide e 162 casi legati a liraglutide. Un dato significativo emerso dallo studio è che la semaglutide era associata in modo sproporzionato a segnalazioni di ideazione suicidaria. Questa associazione è rimasta statisticamente significativa anche quando i pazienti assumevano altri farmaci, come antidepressivi o benzodiazepine. In particolare, la sproporzione era notevolmente maggiore per la semaglutide rispetto ad altri farmaci per il diabete di tipo 2 e l’obesità. Lo studio ha evidenziato che questo segnale di aumento dell’ideazione suicidaria legato al semaglutide necessita di urgenti ulteriori indagini per chiarire i potenziali rischi, se si considera l’uso diffuso e in espansione di semaglutide per la gestione del diabete e dell’obesità».
Del tema «Insonnia: da sintomo a disturbo. Nuove strategie di precisione terapeutica» ha parlato il Prof. Matteo Balestrieri, Psichiatra libero professionista, Già Direttore della Clinica Psichiatrica di Udine.
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Direttore Claudio Gasparini
Giornalista, iscritto all'O.d.G. Veneto dal 1988, collaboro anche con altre testate giornalistiche cartacee, on-line e radiofoniche. Coautore del libro "Eccomi... una storia d'amore con Dio" pubblicato nel 2015. Cavaliere della Repubblica e dell'Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Socio Lions, Officer e coordinatore della rivista distrettuale.